IL TRIBUNALE MILITARE
    Premesso che nel procedimento n. 588/1991 r.n.r. nei confronti  di
 Rendina  Michele  Stefano,  Pilia Marco, Tirotto Giampiero e Salamida
 Gianfranco,  l'imputato  Salamida  ha  chiesto   a   questo   giudice
 l'applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e segg. del cpp. e
 che il tribunale ha accolto tale richiesta previo esame del fascicolo
 processuale  del  p.m. (preso in visione ai sensi dell'art. 135 norme
 di attuazione c.p.p.).
    Premesso altresi' che il p.m. nel prosieguo del  procedimento  nei
 confronti  degli  imputati  Rendina,  Pilia  e  Tirotto  ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale, avendo avuto  il  tribunale
 cognizione  degli  atti relativi anche al Salamida (perche' contenuti
 nel fascicolo del p.m. relativo tutti gli imputati),  per  violazione
 degli  artt.  76  della  Costituzione  in relazione agli artt. 34 del
 c.p.p. e 2 della legge delega n. 81 del 1987 direttiva n. 67 e che  a
 tale richiesta si e' associata la difesa,
                             O S S E R V A
    A  parere  di  questo  giudice, come la giurisprudenza della Corte
 costituzionale ha evidenziato (vd. sent. n. 186/1992), una precedente
 valutazione  di  merito  riguardo  l'idoneita'  dei  risultati  delle
 indagini   preliminari  a  fondare  un  giudizio  di  responsabilita'
 dell'imputato impone, al giudice che ha compiuto tale valutazione, di
 dichiararsi incompatibile nell'eventuale prosieguo del giudizio.
    L'imparzialita',   infatti   e'   un   connotato   imprescindibile
 dell'attivita'   del   giudice   che   deve  ritenersi  venire  meno,
 determinandone  l'incompatibilita',  qualora  si  pervenisse  ad  una
 duplicita' di giudizio di merito (non formale o puramente indiziario)
 sullo   stesso   oggetto,  dato  che  la  valutazione  conclusiva  di
 responsabilita'  e',  o  possa  apparire  essere  condizionata  dalla
 propensione del giudice a confermare una precedente decisione.
    A tal fine, pero' e' necessario che la res iudicanda sia identica.
    Sempre a parere del collegio (secondo le indicazioni fornite dalla
 sentenza    n.    313   del   1990   della   Corte   costituzionale),
 nell'applicazione della pena concordata dalle parti ex art.  444  del
 c.p.p.  la  valutazione del giudice non e' di mera legittimita' ma e'
 anche di merito,  fondata  sulle  risultanze  degli  atti,  circa  la
 correttezza  della  definizione giuridica, circa la sussistenza delle
 circostanze ed il loro eventuale bilanciamento, ed in ordine  ad  una
 valutazione  negativa circa l'esistenza delle condizioni legittimanti
 il proscioglimento ex art. 129 del c.p.p.
    Il tribunale quindi,  nell'applicare  la  pena  al  Salamida  come
 richiesta dalle parti ha avuto conoscenza non formale ma di contenuto
 degli  atti  processuali  alla  luce dei criteri sopra espressi ed ha
 ritenuto esatta la qualificazione giuridica data al  fatto,  corretta
 l'applicazione   delle  circostanze  come  prospettate  dalle  parti,
 congrua la pena indicata dalle  stesse  e  concedibile  il  beneficio
 della sospensione condizionale della pena.
    Cio'  posto,  e' pero' evidente dalla lettura degli atti contenuti
 nel fascicolo del p.m. (e particolarmente dalle indagini  svolte  dai
 carabinieri della stazione dell'aeroporto di Decimomannu ff. 11 ss.),
 come   le   posizioni   dell'aviere   Salamida   (che   ha  richiesto
 l'applicazione   della   pena)   e  dell'aviere  scelto  Pilia  siano
 indissolubilmente  legate  tra  loro  relativamente  alle  rispettive
 ipotesi  di violenza in quanto singoli aspetti del medesimo fatto: la
 colluttazione tra i due militari.
    Ora nell'ipotesi di una colluttazione originata da  un'aggressione
 violenta,  attuale  ed ingiusta da parte di un militare nei confronti
 di un altro (superiore, inferiore  o  pari  grado),  che  si  difenda
 venendo  a  contatto  con  l'aggressore  e qualora sia ipotizzato nei
 riguardi di ognuno dei due militari un autonomo reato  per  il  quale
 entrambi  siano  stati citati a giudizio, pur essendovi due posizioni
 processuali distinte si e' in realta' in presenza di un  unico  fatto
 materiale  di  reato.  E  comunque  non  vi  e' dubbio che le singole
 posizioni  processuali  dei  due  militari  in  tale  ipotesi   siano
 collegate tra loro in maniera indissolubile.
    Quindi,  qualora  sia  esaminata  per  prima  e separatamente (per
 l'applicazione della pena  ex  art.  444  del  c.p.p.)  la  posizione
 dell'aggressore,  il  riconoscimento  dei  requisiti dell'aggressione
 sara'  il   presupposto   indispensabile   per   la   conseguenziale,
 successiva, sentenza di proscioglimento.
    Se  e'  vero  che da un punto di vista teorico le due condotte dei
 militari nel caso di specie potrebbero  essere  oggetto  di  autonome
 valutazioni  di responsabilita' penale (di applicazione della pena su
 richiesta per l'uno e di condanna o di assoluzione  per  altra  causa
 per l'altro) qualora, ad esempio, si riconoscesse non sussistente per
 il Pilia la causa di giustificazione della legittima difesa militare,
 e'  altrettanto  vero  che  l'esistenza di una tale esimente, in base
 agli atti contenuti nel fascicolo del  p.m.,  e'  tutt'altro  che  da
 escludersi.
    Se  quanto precede risponde a verita' (poiche' come si e' detto la
 garanzia costituzionale del giusto processo  prevede  di  evitare  il
 rischio che la valutazione conclusiva di responsabilita' sia, o possa
 apparire  condizionata dalla propensione del giudice a confermare una
 propria precedente decisione) questo collegio ritiene che nel caso in
 esame  la  normativa  di  cui  all'art.  34  c.p.v.  del  c.p.p.  sia
 costituzionalmente      illegittimata     perche'     non     prevede
 l'incompatibilita' del giudice del dibattimento che abbia accolto  la
 richiesta  di  applicazione  di pena, di un imputato la cui posizione
 processuale relativa allo  stesso  fatto  materiale  e'  conflittuale
 rispetto  a quella di un altro imputato nel procedimento per il quale
 sia ipotizzabile la presenza  di  una  causa  di  giustificazione,  a
 partecipare al successivo giudizio.
    L'illegittimita'  dell'art.  34 cpv. del c.p.p. e' da individuarsi
 nel contrasto con la predetta norma e  gli  artt.  25,  76,  77  (per
 questi ultimi due articoli in relazione ai principi di cui all'art. 2
 direttiva  67  della  legge  delega  n.  81  del  1987)  e  101 della
 Costituzione.
    Riguardo  ai  predetti  articoli  e'   rilevabile   che   l'omessa
 previsione  di  cui sopra e' in contrasto con il princio di terzieta'
 del giudice del dibattimento cui la legge delega si e' ispirata ed  a
 tutela  del  quale  e' stato introdotto il c.d. doppio fascicolo (del
 giudice e del p.m.) al fine di sottrarre alla conoscenza del  giudice
 gli atti inclusi nel fascicolo del p.m.
    In particolare riguardo alla violazione degli artt. 25 e 101 della
 Costituzione  come e' gia' stato giustamente osservato dal g.i.p. del
 tribunale di Padova (ord. n. 604/91 r.o.), "anche il solo sospetto di
 una  valutazione  precostituita   e   prefissata   viene   a   ledere
 l'indipendenza  del giudice intesa come percepita sicurezza della sua
 imparzialita' e terzieta', requisiti anche della  sua  condizione  di
 giudice naturale".
    Infatti  come  ha precisato la Corte costituzionale nella sentenza
 n. 124 del 1992 i principi della soggezione del giudice soltanto alla
 legge (art. 101  della  Costituzione)  e  della  sua  precostituzione
 rispetto  all'oggetto  del  giudizio  (art.  25  della Costituzione),
 garantendo l'indipendenza del giudice e la sua necessaria estraneita'
 rispetto agli interessi ed ai  soggetti  coinvolti  nel  processo  ed
 escludendo  che  la  sua  designazione  e la determinazione delle sue
 competenze   possano   essere   condizionate   da   fattori   esterni
 rappresentano   i   punti   fondamentali   dell'imparzialita'   e  ne
 definiscono  il  contenuto  ineliminabile  di  connotato   intrinseco
 dell'attivita' del giudice in quanto non finalizzata al perseguimento
 di alcun interesse precostituito.
    Da detti principi deriva che l'imparzialita' non puo' dirsi in via
 generale  intaccata  da una qualsiasi valutazione gia' compiuta nello
 stesso o in altri procedimenti ma e' ragionevolmente circoscritta  ai
 casi  di duplicita' di giudizio di merito sullo stesso oggetto (come,
 a parere del collegio, nel caso in esame per le  ragioni  esposte  in
 precedenza).
    In  tali  casi,  infatti, il rischio che la valutazione conclusiva
 sia o possa apparire condizionata da una propria precedente decisione
 e' cosi' pregnante da poter concretamente incidere nella garanzia  di
 un  giudizio che sia il frutto genuino ed esclusivo degli elementi di
 valutazione e di prova assunti nel processo e del  dispiegarsi  della
 difesa  delle  parti.  A  parere  di questo giudice, pero', l'art. 34
 secondo  comma  del  c.p.p.,  non  prevedendo  l'incompatibilita'  di
 partecipare  al giudizio da parte del giudice che nei casi costituiti
 da un  unico  fatto  materiale  (o  comunque  commessi  in  un  unico
 contesto)  in  cui  la posizione processuale di (almeno) due imputati
 sia  indissolubilmente  collegata,  conflittuale  e  possa  ritenersi
 sussistere  -  per uno degli imputati - una causa di giustificazione,
 abbia accolto la richiesta della pena  concordata  di  uno  di  essi,
 contrasta  anche  con  la direttiva di cui al n. 67 dell'art. 2 della
 legge delega del 16 febbraio 1987 n. 81 e percio' con gli artt. 76  e
 77 della Costituzione.
    Come   ha   precisato   la   sentenza   n.  496/1990  della  Corte
 costituzionale il regime della incompatibilita' indicato nella delega
 risponde invero all'esigenza di evitare che la valutazione di  merito
 del  giudice  possa  essere  (o possa ritenersi che sia) condizionata
 dallo svolgimento di determinate attivita' nelle precedenti fasi  del
 procedimento o della piena conoscenza dei relativi atti processuali.
    E'  ben  vero,  prosegue  la sentenza della Corte, che nell'ottica
 della delega quale emerge dalle sue enunciazioni  espresse  non  ogni
 attivita' precedentemente svolta vale a radicarne l'incompatibilita',
 ma e' anche vero che il suo sostanziale rispetto richiede la verifica
 della  ricorrenza  o  meno,  nei singoli casi delle ragioni che hanno
 ispirato tali enunciazioni e cio' specie ove si  tratti  di  istituti
 che la delega non ha direttamente previsto.
    Approfondendo  questo  punto,  la  sentenza  n. 401 del 1991 della
 Corte costituzionale ha affermato che i casi di cui alla prima  parte
 -  secondo  periodo - della citata direttiva n. 67, presentano alcuni
 caratteri comuni che valgono a definire nel suo nucleo sostanziale la
 situazione in  presenza  della  quale  il  legislatore  delegante  ha
 ritenuto  che  la  previsione  dell'incompatibilita' fosse necessario
 presidio del valore dell'imparzialita' del giudice.
    Innanzitutto  l'incompatibilita'  ha  rilievo  solo  rispetto   al
 giudizio, cioe' rispetto alla decisione sul merito della regiudicanda
 e  non  anche a decisioni assunte ad altri fini. Inoltre, occorre che
 il giudice  abbia  pienamente  compiuto,  sulla  base  dei  risultati
 complessivi  delle  indagini  preliminari (eventualmente integrati da
 quelli   acquisiti   all'udienza   preliminare)    una    valutazione
 contenutistica    della    consistenza    dell'ipotesi    accusatoria
 (finalizzata al controllo della legittimita' dell'inizio  dell'azione
 penale e del passaggio alla fase del giudizio).
    Nella  prospettiva  delineata  dalle  due  sentenze della Corte in
 precedenza richiamate appare a questo giudice che  gli  atti  da  lui
 compiuti  applicando  la pena concordata al Salamida (acquisendo agli
 atti  il  fascicolo  del  p.m.)  ne  implichino,  per   il   rispetto
 sostanziale  dell'ottica  delle  direttive  poste dalla legge delega,
 l'incompabilita' a giudicare il Pilia. Infatti non vi e'  dubbio  che
 vi  sia  stata una valutazione di merito sulla regiudicanda in ordine
 alla  veriica  delle  condizioni   che   legittimano   l'applicazione
 concordata   della   pena   (v.   sent.   n.   313/1990  della  Corte
 costituzionale prima ricordata) ed una  valutazione  implicita  della
 consistenza delle ipotesi accusatorie.
    Per  l'identita'  dello  stesso  fatto materiale o quanto meno per
 l'inscindibile  connessione  delle  posizioni  processuali  dei   due
 militari,   inoltre,  questo  giudice  ritiene  che  l'oggetto  della
 regiudicanda, per la ipotizzabile presenza di una scriminante,  possa
 essere il medesimo per il Pilia ed il Salamida.
    Da   cio'   consegue  l'esigenza  di  evitare  che  la  preventiva
 valutazione di merito compiuta nella fase di accoglimento della  pena
 concordata  possa essere (o possa essere ritenuta) condizionata dalla
 acquisita conoscenza degli atti processuali contenuti  nel  fascicolo
 del p.m.
    E' poi appena il caso di notare che il caso sottoposto al giudizio
 del  tribunale si differenzia nettamente da quello (su cui si e' gia'
 pronunciata la Corte costituzionale nella sentenza  n.  186/1992)  in
 cui l'applicazione concordata della pena riguardi uno dei concorrenti
 del  concorso  di  persone  nel  reato  e  si  debba poi procedere al
 giudizio per gli altri soggetti concorrenti. Infatti in tal caso alla
 concorrenza  della  imputazione  fa  necessariamente  riscontro   una
 pluralita'  di  condotte  distintamente  ascrivibili  a  ciascuno dei
 concorrenti   (oggetto   giuridico   di   separate   valutazioni   di
 responsabilita'  penale)  mentre  nel  caso  in esame la strettissima
 connessione intercorrente tra il comportamento di uno degli  imputati
 ed  il  comportamento  dell'altro  potrebbe  rendere (nell'ipotesi di
 legittima difesa militare)  impossibile  una  valutazione  del  tutto
 autonoma e diversa da quella gia' effettuata.
    Deve   peraltro   rilevarsi  che  questo  giudice  avrebbe  potuto
 procedere al giudizio nei riguardi degli altri due  imputati  diversi
 dal Salamida e Pilia (Rendina e Tirotto).
    Tuttavia   essendo  le  posizioni  processuali  di  questi  ultimi
 collegate comunque allo scontro tra  il  Salamida  ed  il  Pilia,  il
 collegio  ha  ritenuto, per ragioni di economia processuale e per una
 migliore  completezza  nell'acquisizione   delle   prove,   opportuno
 sospendere il giudizio nei riguardi di tutti gli imputati.
    Infine  e'  di  solare  evidenza  la  rilevanza  della prospettata
 questione di  legittimita'  nel  procedimento  in  esame,  dato  che,
 qualora   le  osservazioni  formulate  da  questo  giudice  venissero
 condivise  dalla  Corte  questo  collegio  non   potrebbe   giudicare
 l'imputato Pilia.